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Uno schiaffo a Bush

La stampa svizzera commenta la sconfitta di Bush e dei repubblicani swissinfo.ch

I giornali svizzeri interpretano la sconfitta dei repubblicani alle elezioni statunitensi di medio termine come schiaffo dato al presidente George W. Bush.

Questo contenuto è stato pubblicato il 09 novembre 2006

La sconfitta elettorale del suo partito indebolirà Bush per i restanti due anni di presidenza. Ma la stampa elvetica non si aspetta grandi cambiamenti da questa situazione.

Non è merito dei democratici, è demerito dei repubblicani e in particolare del presidente Bush: questo in sostanza il succo dei commenti apparsi sulla stampa svizzera all'indomani delle elezioni di medio termine che si sono svolte negli Stati uniti.

«Bush bocciato», titola in prima pagina il quotidiano ticinese La Regione. «Ma pensare che con il voto di martedì l'America sia cambiata sarebbe ingenuo. È piuttosto cambiato il rapporto degli elettori con l'uomo che li ha trascinati in una sciagurata guerra ideologica il cui esito è sotto gli occhi di tutti».

Per l'editorialista del Corriere del Ticino, i democratici non hanno vinto «per una loro particolare eccellenza, ma facendo agio sulla delusione causata dai repubblicani in merito ai maggiori temi che hanno mobilitato gli elettori».

Gli fa eco lo zurighese Tages Anzeiger che nota: «La sconfitta è uno schiaffo dato a George W. Bush. I cittadini statunitensi non hanno fatto mistero della loro avversione nei confronti del presidente e della sua politica, in particolare per quanto riguarda il modo in cui è stata condotta la guerra in Iraq e la tolleranza dimostrata nei confronti di pratiche perlomeno dubbie all'interno del partito».

La guerra in Iraq, sanzionata dalla sconfitta elettorale, ha portato alle dimissioni del ministro della difesa Donald Rumsfeld. Per una volta, nota il caricaturista del Tages Anzeiger, Rumsfeld «mette d'accordo il mondo», che tira un sospiro di sollievo alle parole «mi dimetto».

Con la sua politica – afferma la Tribune de Genève – George Bush «ha messo a cavallo i potenziali candidati alla sua successione», prima fra tutti, Hillary Rodham Clinton, plebiscitata nello stato di New York.

Per i francofoni Express e l'Impartial, «l'uscita dal seminato dei repubblicani ha distrutto l'edificio ideologico costruito dal presidente e dai suoi alleati dopo l'undici settembre 2001».

Pendolo

Buona parte dei giornali ritiene che Bush avrà una fine di regno tutt'altro che piacevole. Altri, come il bernese Bund, sono del parere che abbia ancora delle carte da giocare, in particolare la capacità di compromesso che aveva saputo dimostrare quando era governatore del Texas.

La Neue Zürcher Zeitung, si guarda bene dal prospettare cambiamenti epocali. La sconfitta di Bush è un «pendolo», che inevitabilmente oscilla una volta da una parte una volta dall'altra. «Di per sé, questo è un ritorno alla normalità – i "checks and balances" nel sistema sono efficaci».

Anche il Corriere del Ticino ricorre a una metafora simile, chiamando in gioco Edgar Allan Poe e il suo thriller «Il pozzo e il pendolo» per descrivere l'atteggiamento dell'elettorato americano che, ancora una volta, si è pronunciato per un'alternanza. Il mutamento dei rapporti di maggioranza al Congresso è una specie di «meccanismo "salvavita" democratico che scatta ogniqualvolta il popolo americano avverte di andare incontro per circostanze politiche ad uno squilibrio di forze e di reciproco controllo».

Pochi cambiamenti

Nonostante il chiaro risultato elettorale in favore dei democratici, nessuno si aspetta dei grandi cambiamenti «da qui alla fine del mandato di George Bush», scrive 24 heures, «nè in Iraq, né a Washington».

Tanto più che al contrario dei repubblicani del 1994 – scrive la Neue Zürcher Zeitung – i democratici «non hanno praticamente proposto delle alternative concrete alla politica del partito avversario. Hanno puntato su un voto di protesta. [...] È una strategia che ha avuto successo, ma che ha come conseguenza un mandato politico per il futuro debole come non mai».

Gli europei, aggiunge il Tages Anzeiger, non devono illudersi che la politica estera statunitense cambi in modo radicale. Per quanto riguarda gli affari esteri, repubblicani e democratici non hanno posizioni contrastanti tanto quanto in materia di politica interna. E «il presidente Bush resta il Commander in Chief dell'unica superpotenza mondiale». L'Europa, conclude il foglio zurighese, deve continuare «a puntare su una collaborazione translatantica, indipendentemente dal risultato delle elezioni».

swissinfo, Doris Lucini

Fatti e cifre

Camera dei deputati: 435 seggi, maggioranza con 218 seggi.
I democratici hanno conquistato 228 seggi (+26).
I repubblicani hanno raggiunto quota 196 (-36).
Restano ancora da attribuire 11 seggi.
Senato: 100 seggi; maggioranza con 51 seggi.
I democratici sono passati da 44 a 49 seggi; a questi si aggiungono due seggi di senatori indipendenti che hanno già annunciato di voler collaborare con i democratici.
I repubblicani sono scesi da 55 a 49 seggi.(dati non ancora ufficiali)

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Il congresso statunitense

Negli Stati uniti, il congresso (potere legislativo) accoglie i rappresentanti eletti dai 50 stati federali. La costituzione riconosce al congresso, composto di due camere, la competenza in materia di budget e il diritto d'iniziativa per quanto riguarda le leggi.

In genere, si ritiene che il congresso influenzi la politica statunitense «aprendo o chiudendo il rubinetto dei finanziamenti». Solo il congresso può emanare delle leggi, decidere una dichiarazione di guerra e stipulare accordi con altri paesi.

I deputati vengono eletti per un periodo di due anni. Ogni deputato rappresenta un distretto elettorale del suo stato di provenienza. Il numero dei distretti elettorali è stabilito in base ad un censimento della popolazione effettuato ogni 10 anni.

I senatori hanno un mandato di sei anni. Le elezioni hanno luogo ogni due anni, ma riguardano solo un terzo del senato alla volta. La costituzione prevede che il senato sia guidato dal vicepresidente federale. Quest'ultimo non ha però diritto di voto, se non in caso di parità.

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