Scoperto a Losanna un tentativo di riciclaggio per Cosa Nostra
Gli ispettori finanziari vodesi hanno perquisito venerdì i locali di una banca privata di Losanna e l'appartamento di un suo impiegato, sospettato di essere coinvolto in una vicenda di riciclaggio di denaro a favore della mafia siciliana.
La polizia cantonale ha confermato un'informazione in questo senso apparsa sabato sul quotidiano «Le Matin». Secondo il quotidiano romando, Cosa Nostra ha tentato di stornare via internet 1,5 miliardi di franchi di sovvenzioni dell'Unione europea destinate alla Regione Sicilia.
Tutta, o parte di questa somma, avrebbe dovuto essere riciclata a Losanna. L'impiegato della banca privata Espirito Santo, attualmente in viaggio all'estero, è sospettato di essere coinvolto nell'operazione. La polizia ha perquisito il suo ufficio e il suo domicilio confiscando dei documenti. Il giudice istruttore vodese Jean Treccani ha aperto un'inchiesta penale.
L'organizzazione criminale mafiosa, smantellata dalla polizia italiana negli scorsi giorni, voleva sottrarre tra i 1.500 ed i 2.000 miliardi di lire depositati sui conti della Tesoreria regionale siciliana presso il Banco di Sicilia. Una montagna di soldi che servivano in parte al pagamento degli stipendi dei dipendenti della Regione, ma che erano costituiti soprattutto da fondi strutturali europei, cioè da aiuti comunitari.
Per l'operazione la banda aveva messo su, con la complicità di funzionari del Banco di Sicilia, della Telecom e di esperti informatici, un finto sportello telematico, che entrava in funzione non appena quello della Banca cessava l'attività e che permetteva di dare ordini di pagamento per centinaia di miliardi. Miliardi destinati a prendere la via della banca vodese, come visto.
L'istituto intermediario avrebbe poi trasferito i soldi su conti di prestanome, fittiziamente indicati come imprenditori esecutori di appalti per conto della Regione. Quindi nel giro di due giorni il denaro sarebbe arrivato all'estero. Nessun particolare era stato trascurato: la banda era pronta a intimidire il funzionario della Regione incaricato del controllo dei fondi perchè una volta scoperti gli ammanchi li denunciasse il più tardi possibile.
Le indagini erano cominciate nel luglio scorso, quando alla polizia era giunta la notizia che malavitosi in Emilia Romagna cercavano direttori di banca compiacenti per compiere operazioni illecite. Un ispettore di polizia ha finto di essere il direttore della Banca di Roma di Granarolo dell'Emilia ed è entrato in contatto con l'organizzazione, accordandosi per un'operazione che sarebbe consistita nella sottrazione di 264 miliardi dai conti della Tesoreria regionale siciliana.
Gli investigatori avrebbero voluto incastrare i componenti della banda a cose fatte, ma da intercettazioni è emerso che miravano a molto di più, 1.500-2.000 miliardi da portare via con più operazioni simultanee, e che vantavano contatti con altri istituti di credito e addirittura con lo Ior, la banca vaticana.
L'associazione mafiosa è stata contestata - ha spiegato il magistrato «perchè dalle intercettazioni è emerso che a capo dell'organizzazione c'erano persone inserite in associazioni mafiose e che vi era la contiguità di alcuni soggetti ad esponenti di Cosa Nostra in passato oggetto di inchieste delicate».
In particolare il capo dell'organizzazione, Antonio Orlando, viene considerato «molto vicino a Pietro Scotto, inquisito per la strage di via d'Amelio a Palermo del 19 luglio 1992, in cui furono uccisi il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta.
Ad impressionare il magistrato e la polizia il fatto che «pochi funzionari corrotti del Banco di Sicilia erano in grado di manovrare i fondi, senza esporsi in prima persona, ma utilizzando password di altri». E a loro spesso la banda chiedeva di chiudere in anticipo rispetto all'orario previsto, lo sportello telematico della Banca, in modo da poterlo sostituire con il proprio, senza creare sospetti.
swissinfo e agenzie

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