La Turchia è diventata un inferno per i giornalisti
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha intensificato le epurazioni dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio. A finire nel suo mirino sono stati in particolare i media, con la chiusura di circa 130 organi di stampa. La Turchia già figura in fondo alla classifica della libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere.
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Dopo l’esercito, la giustizia e l’educazione, l’ondata di epurazioni del regime turco colpisce oramai duramente anche i media. Mercoledì, le autorità hanno ordinato la chiusura di 45 giornali, 16 canali televisivi, 23 stazioni di radiodiffusione, 3 agenzie di stampa, 15 riviste e 29 case editrici.
I media, tra cui alcuni hanno svolto un ruolo chiave nel tentato golpe, pagano così un pesante tributo nella “grande pulizia” lanciata in seguito ai fatti del 15 luglio. Non è stata fornita alcuna lista, ma secondo l’emittente televisiva privata CNN-Türk si tratta essenzialmente di media provinciali, ma pure di alcuni media a diffusione nazionale.
Pessime note per la Turchia
Mercoledì mattina, la giustizia ha emesso 47 nuovi mandati d’arresto nei confronti di ex impiegati del quotidiano Zaman, a causa dei loro presunti legami con la rete dell’ex imam Fethullah Gülen, accusato di essere la mente del colpo di Stato. Tra loro figurano famosi caporedattori ed editorialisti.
Ancor prima degli avvenimenti degli scorsi giorni, la Turchia faceva già parte degli Stati che meno rispettano la libertà di stampa. Nella classifica 2016Link esterno stilata da Reporter senza frontiere (RSF), il paese di Erdogan si trova al 151° rango (su 180). Con uno score di 50,76, si situa allo stesso livello dei regimi autoritari delle ex repubbliche sovietiche (Tagikistan, Bielorussia, Kazakhstan,…).
All’opposto, paesi quali il Costa Rica o la Giamaica sono riusciti a risalire nella lista e figurano ora tra i paesi che accordano la maggiore libertà a giornalisti e organi di stampa.
«La deriva autoritaria del presidente Erdogan si manifesta con attacchi massicci contro la libertà di stampa», scrive RSF sul suo sito. Progressione dell’autocensura, blocco di numerosi siti d’informazione e divieto di pubblicare su determinati temi, senza dimenticare le centinaia di giornalisti portati davanti alla giustizia: lo scenario tracciato dall’organizzazione non governativa è alquanto tetro. «Le metastasi del conflitto siriano e la ripresa dei combattimenti contro i ribelli turchi del PKK accentuano la paranoia delle autorità nei confronti dei giornalisti critici», sottolinea RSF.
Al di là della repressione dei media, è l’intera società turca ad avere un problema con la libertà di espressione, ritiene Unsal Unlu, giornalista indipendente residente in Turchia che pubblica le sue notizie su Periscope. «Nessuno, né il governo né l’opposizione, vuole sentire critiche. Nemmeno la società turca vuole sentir parlare di problemi o di cose che non vanno. Qui la democrazia non è molto popolare», dichiara in un servizio della televisione svizzera di lingua italiana RSI.

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