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OSAR chiede rimpatri ragionevoli in Kossovo

L'Organizzazione svizzera d'aiuto ai rifugiati (OSAR) chiede che Berna applichi una politica più realistica nel rimpatrio degli asilanti Kosovari. Le persone particolarmente vulnerabili non dovrebbero andarsene in modo imperativo entro il 31 maggio.

Questo contenuto è stato pubblicato il 14 marzo 2000 minuti

Secondo l'OSAR, è assolutamente illusorio il proposito delle autorità di rimpatriare 20 mila (ma altre cifre parlano di 30-40 mila) kosovari. Berna dovrebbe piuttosto diversificare l'atteggiamento nei riguardi dei rifugiati: via libera ai rimpatri volontari e a quelli delle persone giovani, sane e in grado di provvedere alle proprie necessità.

Un altro metro dovrà invece essere applicato per le persone che si trovano minacciate da una situazione ancora esplosiva al loro rientro nelle regioni del Kosovo. Si tratta di rifugiati appartenenti a minoranze - Rom, Ashkalis, slavi musulmani, albanesi nel Sud della Serbia e quanti sono sospettati di collaborazionismo- e di persone particolarmente vulnerabili, quali donne sole con bambini, anziani, malati e minorenni.

Bisognerà valutare anche la situazione di quelle famiglie kosovare che vivono in Svizzera da parecchi anni, che hanno raggiunto una certa indipendenza economica e i cui figli sono integrati. L'»Azione umanitaria 2000», lanciata ad inizio marzo dal Consiglio federale - ha affermato il segretario centrale dell'OSAR Markus Loosli - va comunque già in questa direzione. In totale le persone il cui rimpatrio è considerato a rischio sono alcune migliaia, ha aggiunto.

«La situazione nella provincia balcanica è estremamente instabile e la condizione umana assai precaria» ha affermato Rahel Bösch, specialista dei Balcani per l'OSAR, precisando che «per le minoranze le cose non sono migliorate, anzi». Trascorso l'inverno e conclusa la fase degli interventi urgenti per garantire la sopravvivenza della popolazione - ha indicato Bösch, autrice di uno studio sul Kosovo - è ora il momento di iniziare la ricostruzione. Non si tratta solo di ristrutturare gli edifici, ma anche di ripristinare le istituzioni e la società.

La maggior parte di rifugiati potrà tornare ai propri villaggi e contribuire attivamente ai lavori di ricostruzione. Il Kosovo non dispone ancora di nessuna istituzione assistenziale in grado di aiutare e proteggere le persone vulnerabili.«Costringere anziani, ammalati e donne sole con bambini a tornare a casa significa metterli sulla strada», ha affermato Nazije Bala, membro del Consiglio dei diritti umani a Pristina e presidente
dell'associazione femminile albanese «Liria».

A sostegno delle richieste dell'OSAR è intervenuto anche Philippe Leclerc, responsabile dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) per la Svizzera e il Liechtenstein. Nella regione balcanica - ha affermato - l'80 percento della popolazione è disoccupata, 900 000 persone sono dipendenti dai programmi alimentari mondiali, e da Belgrado giungono solo spinte destabilizzanti. «È impensabile credere di poter spedire tutti a casa in questo momento».

Swissinfo-agenzie

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