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Fondi in giacenza: l’accordo di distribuzione non placa le polemiche

Mentre si avvia alla conclusione la battaglia sui risarcimenti chiesti alla Svizzera e ad altri paesi europei, negli Stati uniti si rafforzano le critiche sulle speculazioni politiche e monetarie, nonché sul ruolo svolto dal Congresso mondiale ebraico.

Questo contenuto è stato pubblicato il 14 settembre 2000 minuti

La celebrazione organizzata dal Congresso Mondiale Ebraico (WJC) per marcare la fine della battaglia suo fondi in giacenza e la positiva conclusione del braccio di ferro con la Germania sul lavoro coatto (con un risarcimento di 5 miliardi di dollari), non ha spento le polemiche all’interno della comunità ebraica americana.

Appena lunedì scorso, il gran gala indetto da Edgar Bronfman, presidente del WJC, nella sala da ballo dell’esclusivo Hotel Pierre, ha messo in evidenza le fratture politiche, ideologiche e morali create dalla lotta per le riparazioni e la restituzione. Un numero di crescente di sopravvissuti e commentatori ha preso le distanze dal Congresso Mondiale Ebraico.

La polemica ha assunto toni arroventati con la pubblicazione di «L’industria dell’Olocausto», un libro nel quale il suo autore Norman Finkelstein (www.normanfinklestein.com) accusa la lobby ebraica americana di aver trasformato la sofferenza delle vittime del Terzo Reich in una sorta di gigantesco Casinò di Montercarlo: una macchina per accumulare soldi e potere. A confortare le critiche di Finkelstein (figlio di deportati Ebrei nei campi di Auschwitz e Maydanek) è giunta anche l’autorevole voce di Raul Hilberg, unanimemente riconosciuto come uno dei più maggiori studiosi del genocidio nazista («La distruzione degli Ebrei d’Europa» rimane uno dei capolavori della storiografia).

Hilberg, pur non condividendo le idee politiche di Finkelstein, consdera le sue tesi e le sue critiche del tutto valide. L’anziano professore denuncia pure lui con forza i metodi usati dal Congresso Mondiale Ebraico e la «monetizzazione» della sofferenza. Un altro studio, appena pubblicato («Selling the Holocaust», l’Olocausto in vendita) si iscrive nella stessa tendenza critica.

A testimonianza della vivacità del dibattito è giunta anche la presa di posizione, sorprendente quanto energica, della rivista Commentary Magazine (www.commentarymagazine.com), legata agli ambienti conservatori ebraici americani. In una lunga inchiesta la rivista parla dello «spettacolo fornito dalle organizzazioni ebraiche americane, che hanno collaborato con politici le cui lacrime, per i sei milioni di vittime dell’Olocausto, sono sincronizzate con i loro bisogni finanziari e elettorali».

Commentary Magazine aggiunge «il segretario generale del Congresso Mondiale Ebraico Israel Singer ha recentemente affermato che l’importanza della restituzione finanziaria non deve far ombra alla questione della restituzione morale. Peccato che lui e la sua organizzazione hanno reso questo compito molto difficile».

La critica, è bene ricordarlo, non è limitata al mondo accademico: un numero crescente di sopravissuti ha manifestato negli ultimi il proprio dissenso nei confronti delle maggiori organizzazioni ebraiche accusate di anteporre i loro interessi a quelli delle persone in nome delle quali avevano lanciato la battaglia per le riparazioni e le restituzioni.

Roberto Antonini

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