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Farine animali: la Svizzera le usa poco ma le esporta tanto

Per lottare contro la malattia della vacca pazza, in Svizzera è vietato usare farine prodotte con carcasse di animali per preparare mangime per bovini Keystone

La Svizzera consuma annualmente meno di 5.000 tonnellate di farine animali, ma ne produce quasi 10 volte tanto. L'eccesso - e con esso il problema legato a questi mangimi - è esportato soprattutto verso l'Europa settentrionale e orientale.

Questo contenuto è stato pubblicato il 25 luglio 2000 - 10:55

Dal primo novembre 1999 in Svizzera vige, quale misura di lotta alla malattia della vacca pazza, un divieto assoluto di usare farine animali per produrre mangimi per bovini: se è rivelata anche solo la traccia di componenti animali il responsabile è denunciato e rischia una multa.

Una denuncia contro ignoti è pendente in Vallese dopo il forzato abbattimento di animali malati di encefalopatia spongiforme bovina. La Confederazione, come ha precisato Daniel Guidon della Stazione federale di ricerche per la produzione animale di Posieux (FR), ha intensificato i controlli.

In Svizzera solo pochi fabbricanti di mangimi si servono ancora di farine animali, di cui sono annualmente prodotte 45 000 tonnellate nei centri di Lyss (BE), Zurigo e Schlieren (ZH). Secondo Rudolf Marti, segretario dell'Unione svizzera dei fabbricanti di mangimi, nel 1999 il mercato interno ha assorbito meno di 5000 tonnellate: la domanda è in netto calo soprattutto da quando Migros e Coop rinunciano a maiali e pollame allevati con farine. La legislazione svizzera ammette però questi allevamenti.

Per i produttori di farine animali la diminuzione di importanza del mercato svizzero non costituisce però un problema: 40.000 tonnellate vengono esportate. Un fatto che solleva interrogativi. «È eticamente responsabile vendere all'estero qualcosa che non vogliamo più da noi?», si chiede Marti. A suo avviso la Svizzera trasferisce semplicemente il problema altrove e lo rinvia.

Presto o tardi gli attuali paesi acquirenti (Germania, Olanda, Danimarca e nazioni dell'est europeo) troveranno altri mangimi: per la carne di scarto - in particolare le carcasse - si impone la ricerca di nuove soluzioni. Attualmente l'unica alternativa ipotizzata è l'incenerimento. La società Centravo di Lyss stima le perdite tra i 50 e i 100 milioni di franchi, senza considerare le minori entrate per i contadini che non potranno più ricavare niente dai resti animali.

Gli allevatori rischiano addirittura spese supplementari: potrebbero infatti essere chiamati a coprire i costi di eliminazione. Secondo Guidon questo scenario è attualmente improponibile per il settore primario e questa evoluzione appare ancora assai remota.

swissinfo e agenzie

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