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La memoria visiva, tra lusso e necessità

Una delle grandi sfide degli archivi è di riuscire a ritrovare quello che si cerca. swissinfo.ch

La Svizzera possiede un patrimonio fotografico enorme, ma la conservazione di questa eredità culturale non è garantita a lungo termine. Il problema che si pone per la doppia archiviazione delle collezioni, tradizionale e digitale, non è tanto legato alla tecnica quanto piuttosto alla mancanza di volontà politica e di mezzi.

Questo contenuto è stato pubblicato il 05 marzo 2014 minuti
Isabelle Eichenberger, swissinfo.ch

Una scatola di lastre di vetro è appoggiata di fianco allo scanner: «Sono fotografie scattate da mio nonno, pastore a Grindelwald, quasi cento anni fa», spiega Christoph Balsiger, membro della redazione fotografica di swissinfo.ch. «Ci sono dei ritratti, dei fiori, dei paesaggi, delle montagne… Su questa riconosco l’Eiger, ma per il resto non ho nessuna idea. Non ci sono quasi mai indicazioni», dice mentre ripone la scatola e ne tira fuori un’altra. Un tesoro? Nulla è meno certo.

Il valore delle testimonianze dei fotografi amatori è «quasi pari a zero, perché sono più o meno sempre gli stessi temi: ritratti o paesaggi non identificati», rileva Martin Gasser, conservatore della Fondazione svizzera per la fotografia di Winterthur. Quando l’ottava arte era ai suoi albori, molti svizzeri hanno potuto offrirsi un apparecchio. Poi la fotografia si è democratizzata, diventando un prodotto industriale di massa e dando vita a un linguaggio universale.

Non va poi dimenticata la produzione dei professionisti, segnatamente per la stampa. Il numero di pubblicazioni è diminuito questi ultimi anni, ma la Svizzera continua comunque ad averne una quantità da record. Tra il 1930 e gli anni ’90, solo il gruppo Ringier ha accumulato circa 7 milioni di fotografie.

Questo immenso patrimonio visivo è sparso in diverse biblioteche, musei e… solai privati. La perennità di queste fotografie amatoriali non è garantita e neppure quella delle fotografie di professionisti.

Conservare o buttare, è tutta un’arte

«Spesso dei privati ci propongono i loro archivi. Normalmente li rifiutiamo, ma diamo loro dei consigli per decidere cosa bisogna tenere, cosa possono buttare o vendere al mercatino delle pulci, prosegue Martin Gasser. Noi conserviamo dei soggetti interessanti, ad esempio scatti specializzati e rari di un ingegnere durante la Prima guerra mondiale, ma raramente un fondo completo».

Martin Gasser aggiunge che per quanto concerne i professionisti bisogna fare «scelte dolorose». «Il nostro compito è di conservare il materiale analogico dal XIX alla fine del XX secolo. Cerchiamo di salvaguardare le immagini dei soggetti e dei fotografi più importanti e ciò che è significativo a livello nazionale, per tutte le regioni».

La Fondazione custodisce più di un milione tra lastre, negativi, diapositive, stampe… Il materiale è immagazzinato in locali climatizzati per rallentare i danni del tempo e dei prodotti chimici. Il direttore precisa che «l’Ufficio federale della cultura ha considerevolmente aumentato il suo sostegno negli ultimi dieci anni, ma che ciò rimane comunque una goccia d’acqua» rispetto ai bisogni.

Copia automatica

Il Digital Humanities Lab, istituto di ricerca dell’Università di Basilea specializzato nelle scienze umane digitali, lavora sull’archiviazione a lungo termine di tutti i documenti, fotografie, testi, multimedia e lavori scientifici.

L’istituto sta in particolare sviluppando una procedura di copia automatica e in massa di dati in vista di un’archiviazione illimitata e perpetua. «La tecnica e i dischi rigidi non costano nulla. Ciò che è caro è il lavoro di digitalizzazione, che deve essere ben fatto, spiega Lukas Rosenthaler, responsabile di questa ricerca».

Il sistema funziona per ora in via sperimentale e il ricercatore spera che possa essere operativo entro cinque anni. Idealmente, esso permetterà di diminuire il prezzo del terabyte (500'000 foto), che si situa attualmente tra 500 e 3'000 franchi all’anno, a 50-250 franchi. «Sono però solo delle stime», precisa Lukas Rosenthaler.

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Il digitale, «un altro mestiere»

Una selezione ancora più severa avviene quando si tratta di decidere quale materiale analogico bisogna o meno digitalizzare. Per Martin Gasser, non è una grande priorità. «Bisogna prima conservare questi oggetti, il 90% dei quali oggi non presenta un grande interesse. Ma domani? La difficoltà è scegliere cosa bisogna conservare». Il problema è costituito principalmente dai soldi, poiché il costo dell’archiviazione raddoppia: scansionare il materiale e registrarlo su dei server non vuol dire che bisogna sbarazzarsi degli originali.

Il lavoro di scanning viene effettuato parallelamente su due supporti, per ragioni di sicurezza. A causa del continuo sviluppo degli standard e dei sistemi, i dati devono però essere regolarmente trasferiti (ogni cinque anni circa) su nuovi server. Considerando che si tratta di «un altro mestiere», la Fondazione svizzera per la fotografia ha affidato, pagando, il trattamento dei suoi cataloghi digitali alla biblioteca della Scuola politecnica federale di Zurigo (ETHZ), che li integrerà nel suo portale E-Pics.

«I problemi informatici possono essere risolti, ma le fotografie devono essere combinate con metadati per essere classificate e in seguito ritrovate», precisa Nicole Graf, responsabile degli archivi fotografici dell’ETHZ.

In effetti, anche se la tecnologia e gli equipaggiamenti fossero gratuiti, l’archiviazione rimarrebbe altrettanto cara di quella per il materiale analogico. «Gli specialisti dicono che il prezzo all’anno del terabyte (500'000 immagini) è in continua diminuzione, rileva Martin Gasser. La difficoltà risiede nell’identificare le foto e nel contestualizzare per i posteri. Sennò, come per le foto di famiglia, non si saprà più cosa rappresentano. Questo lavoro deve essere fatto da specialisti».

Strategie disperse

A livello nazionale, cosa si fa con queste migliaia di collezioni e di archivi? Christophe Brandt, direttore dell’Istituto per il restauro della fotografia di Neuchâtel, deplora il fatto che non esiste un vero e proprio sistema di archiviazione analogico: «La grande sfida dei prossimi anni sarà di ritornare su film, ciò che garantirà la possibilità di rileggere le immagini. Anche senza grandi mezzi tecnologici si potrà sempre guardare un film con una fonte di luce e una lente».

Bisogna quindi continuare a scansionare i negativi per archiviarli. «La Svizzera dovrà, come tutti, servirsi di server di lunga durata», prosegue Christophe Brandt, che è anche membro di Memoriav, la rete nazionale per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio audiovisivo.

Politica federale

Dall’entrata in vigore della Legge sull’incoraggiamento della cultura il primo gennaio 2012, l’Ufficio federale della cultura sostiene la Fondazione svizzera per la fotografia di Winterthur nell’archiviazione delle immagini. Berna accorda all’istituto 1,25 milioni di franchi all’anno.

La Confederazione si impegna anche in quella che viene chiamata la «memopolitica» (che non concerne solo la fotografia ma il patrimonio audiovisivo nel suo insieme. Questo sostegno si traduce nel finanziamento dell’associazione Memoriav, fondata nel 1995 da Biblioteca nazionale, Archivi federali, Fonoteca nazionale, Cinemateca svizzera, Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR, Ufficio federale della comunicazione e (dal 1998) Istituto svizzero per la conservazione della fotografia.

Sul suo sito www.memobase.ch, Memoriav ha repertoriato circa 80'000 documenti audiovisivi di 13 istituti svizzeri.

Memoria dispone di un budget annuo di circa 3,5 milioni di franchi, di cui 3,1 a carico della Confederazione.

(fonte: Ufficio federale della cultura e Memoriav)

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«Ognuno lavora però un po’ in disparte. L’ETHZ, gli Archivi federali, Memoriav, la Fondazione per la fotografia, il Museo dell’Elysée, il nostro istituto... Non esiste un sistema centrale, ma alcuni prestatori di servizi indipendenti. Tutti sono coscienti che le strategie vanno un po’ in tutti i sensi. Ma non è detto che tutti accettino una base unica. E  poi quale base scegliere?», si chiede Christophe Brandt.

Il rompicapo delle foto della stampa

Edzard Schade, specialista di archiviazione multimedia, ritiene che il problema non sia tecnico ma politico. «La Confederazione dovrebbe dar prova di maggiore responsabilità, incoraggiando una vera politica nazionale. Vi sarebbero sufficienti fonti di finanziamento. Dopo tutto si consacra molto denaro alla società dell’informazione. Bisogna far presto, poiché il problema si aggrava», dichiara questo insegnante presso l’Alta scuola di scienze applicate di Coira.

Nicole Graf non è particolarmente inquieta per la perennità della fotografia d’autore. Tuttavia ritiene che «tutto resta ancora da fare per quanto riguarda gli immensi archivi della stampa, testimonianze preziose della storia e della vita quotidiana svizzera».

La responsabile degli archivi fotografici dell’ETHZ menziona l’enorme fondo del gruppo Ringier, affidato agli archivi del canton Argovia. «È stato creato un gruppo di lavoro, del quale faccio parte. Questi documenti rischiano però di andare persi, perché la Confederazione non li ha ancora assimilati a un bene culturale in sé, che merita di essere sostenuto».

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