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Clandestino in Svizzera, libero in Italia

Fabrizio Gatti, a sinistra, all'epoca del contestato reportage Keystone

Spunta nuovamente il caso Gatti: il Tribunale federale ribadisce la multa al giornalista italiano che avrebbe potuto realizzare in modo diverso il suo reportage.

Questo contenuto è stato pubblicato il 04 luglio 2001

La massima istanza giudiziaria svizzera ha reso noto le ragioni della sentenza con la quale ha mantenuto la multa di 250 franchi a carico del giornalista del Corriere della Sera, Fabrizio Gatti, che nel gennaio '99 entrò illegalmente in Svizzera da Chiasso, con un gruppo di clandestini, scrivendo poi alcuni articoli sull'esperienza.

I giudici riconoscono che l'interesse all'informazione del pubblico su un tema così importante "era più importante della norma violata da Gatti senza passare da un valico autorizzato", ha spiegato il legale ticinese di Gatti, l'avvocato Roberto Macconi.

Per Macconi "il fatto di unirsi ai clandestini era adeguato allo scopo perseguito dal cronista", comunque condannato dal momento che la massima istanza giudiziaria svizzera ritiene che "il reportage avrebbe potuto essere realizzato altrimenti, ad esempio con interviste ai profughi e alle autorità. Anche se il contenuto degli articoli giornalistici sarebbe stato sensibilmente diverso e la raccolta di informazioni più laboriosa".

Il Tribunale federale ritiene comunque più importante "l'informazione oggettiva del pubblico rispetto all'effetto giornalistico". Nel ricorso è stato posto il problema di principio secondo cui un fatto che normalmente costituisce un reati, ossia l'entrata illegale in Svizzera, non è considerato reato se vi è una causa giustificativa, quale può essere la libertà di stampa.

Fabrizio Gatti e i suoi legali decideranno se inoltrare ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo, in quanto la condanna svizzera "potrebbe essere contraria alle norme della Convenzione europea che sancisce il diritto alla libertà d'espressione".

swissinfo e agenzie

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