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Anche i grandi produttori sull'onda del caffè equo

La sovrapproduzione di caffè ha determinato un dumping dei prezzi Keystone

Nestlé, il gigante dell’alimentazione con sede a Vevey, si accorda insieme ad altri tre importanti produttori di caffè su di un codice di comportamento equo.

Questo contenuto è stato pubblicato il 10 settembre 2004

Il codice dovrebbe contribuire in futuro a migliorare le condizioni di lavoro e gli standard ambientali.

Quattro dei maggiori produttori internazionali di caffè, Nestlé, Sara Lee, Kraft Foods e Tchibo, dopo 18 mesi di negoziati, arrivano ad un primo accordo di base sul cosiddetto “Common Code for the Coffee Community”(CCCC).

Un codice volontario

Si tratta di una libera iniziativa che non si rivolge solo alle nicchie di mercato del caffè equo, bensì al settore principale, ed è il risultato della pressione esercitata da consumatori, organizzazioni non governative, sindacati, che partecipano all'accordo.

«Per ora non siamo che agli stadi preliminari, ci siamo semplicemente messi d’accordo sui principi di base, che debbono essere ancora testati», sottolinea François-Xavier Perroud, portavoce di Nestlé.

«Il CCCC è un’ottima idea – aggiunge - e va incontro anche ai nostri interessi, perché permetterebbe di assicurare un prodotto di qualità».

L’iniziativa arriva dalla Germania ed è una delle più complete e lungimiranti, simile ad accordi presi in passato dall’industria tessile, della moda, dai produttori di articoli sportivi e di diamanti.

Contiene ad esempio alcune categorie in cui debbono essere rispettati degli standard comuni, come salari minimi per i lavoratori stagionali, l’introduzione di contratti e di orari di lavoro regolamentari, il diritto all’educazione dei bambini e il rispetto dei vincoli ambientali.

Industria del caffè ancora in crisi

Non si prevede comunque che l’iniziativa avrà a breve termine effetti sul prezzo del caffè, ai minimi storici dagli ultimi 30 anni.

L’unico modo per incrementare i prezzi, così bassi da non coprire in alcuni casi nemmeno i costi di produzione, sarebbe quello di ridurre la sovrapproduzione, come sottolinea ad esempio Angus Downie, economista del London Economist Intelligence Unit.

Dieter Overath, di Transfair, una delle più importanti organizzazioni per il commercio equo in Germania, si rallegra dell’iniziativa, ma ritiene che per permettere ai produttori di migliorare le condizioni di lavoro, l’industria del caffè dovrà semplicemente aumentare i prezzi.

Il primo caffè prodotto con standard CCCC, una denominazione astratta e che non è destinata per ora a diventare un marchio, dovrebbe entrare sul mercato dopo il 2006.

Scettica Greenpeace

Circa 25 milioni di persone in 70 paesi in via di sviluppo dipendono dalla produzione di caffè: il codice volontario di comportamento dovrebbe essere adottato, oltre che dai quattro grandi distributori, anche da produttori in Brasile, America centrale, Africa ed Indonesia.

Interpellata da swissinfo, Greenpeace ritiene che il codice CCCC contenga alcuni punti positivi, ma non sia abbastanza avanzato sulla questione essenziale del caffè ecologico, quindi del rispetto dell’ambiente.

"È un peccato che la Nestlé, che gioca un ruolo fondamentale nell’industria del caffè, continui sulla strada delle colture transgeniche.”

Per questo Greenpeace, sottolinea Andreas Bernstorff - portavoce dell’organizzazione ambientalista - non se la sente di sottoscrivere completamente l’accordo CCCC nella sua forma attuale.

swissinfo e agenzie

Fatti e cifre

Circa 25 milioni di persone in 70 paesi in via di sviluppo dipendono dalla produzione di caffè.
Il mercato del caffè muove qualcosa come 35 miliardi di dollari (43,9 miliardi di franchi) l’anno.
Il Brasile è il maggior produttore di caffè al mondo (30%), seguito dal Vietnam.

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In breve

Quattro dei maggiori produttori di caffè al mondo, tra cui Nestlé, si sono accordati su di un codice volontario di comportamento equo.

L’accordo comprende tra l’altro salari minimi, il divieto di sfruttamento dei bambini e l’impegno a non usare pesticidi dannosi.

Patti simili sono stati firmati dall’industria della moda, degli articoli sportivi e dai commercianti di diamanti.

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