A Cancún la Svizzera non si accontenterà di promesse
In Messico per due giorni, Doris Leuthard ha chiesto un accordo sul clima legalmente vincolante. La nuova ministra dell'ambiente ha anche insistito sul messaggio da trasmettere all'economia. Intervista.
Fino a metà novembre non era sicuro che l'ex ministra dell'economia e attuale presidente della Confederazione fosse presente a Cancún. Il suo predecessore, Moritz Leuenberger, avrebbe volentieri svolto un'ultima missione governativa. Alla fine Doris Leuthard ha però intrapreso il viaggio.
swissinfo.ch: Ha appena vestito i panni di ministra dell'ambiente. Questi negoziati non sono una prova un po' troppo dura per iniziare?
Doris Leuthard: È la prima volta che mi ritrovo con gli altri ministri dell'ambiente ed è un po' diverso da quello a cui ero abituata. Comunque i meccanismi sono sempre gli stessi. Si tratta di difendere prima di tutto gli interessi nazionali.
In seguito bisogna discutere, cercare soluzioni consensuali in seno a piccoli gruppi, trovare alleati. Ciò prende tempo, è una maratona, ma passo dopo passo riusciamo ad avanzare. Durerà forse ancora un anno, ma è il solo modo per riuscire alla fine ad avere delle regole accettate da tutti a livello internazionale, che rispettano le sensibilità dei membri, che rispettano la povertà di coloro che non dispongono degli strumenti finanziari per migliorare la situazione.
swissinfo.ch: È giusto affermare che questi negoziati sono più complessi di quelli in corso all'Organizzazione mondiale del commercio (OMC)?
D.L.: All'OMC stiamo negoziando da nove anni. Non posso dire che la negoziazione climatica sia più complessa. All'OMC ci sono sei o sette dossier in parallelo e la somma in gioco è ancora più importante. Non si possono fare dei paragoni, ma possiamo trarre degli insegnamenti da certi meccanismi o certi successi raggiunti nel quadro dell'OMC.
Inversamente, mi piacerebbe che all'OMC il capitolo ecologico sia rafforzato. È anche un obiettivo della Svizzera a partire dalla conferenza di Bali [piano d'azione dei negoziati climatici]. Diminuire le tariffe doganali potrebbe costituire un incitamento in favore del trasferimento di tecnologie. Abbiamo delle idee, ma bisogna riuscire a convincere la comunità internazionale.
swissinfo.ch: Rispetto all'approccio del suo predecessore Moritz Leuenberger, quali impulsi vorrebbe dare ai negoziati climatici?
D.L.: Da parte svizzera le cose funzionano bene da tempo. Per me l'importante è sostenere la nostra squadra di negoziatori. A livello ministeriale ciò che conta è soprattutto creare dei legami.
Naturalmente vi è ancora del lavoro da fare per difendere le posizioni della Svizzera e incoraggiare dei paesi che potrebbero diventare dei nostri partner. Con la Francofonia, che rappresenta un terzo dei membri dell'ONU, ma anche con il Gruppo dell'integrità ambientale [gruppo presieduto dalla Svizzera che comprende in particolare il Messico e la Corea del Sud], abbiamo dei partner molto importanti in questo processo.
swissinfo.ch: Mercoledì nel suo discorso ha insistito sul messaggio che la politica deve trasmettere all'economia. Poiché nulla si potrà fare senza l'economia…
D.L.: Senza dubbio. Il settore pubblico da solo non potrà stanziare le somme necessarie agli investimenti – si parla di 100 miliardi di franchi [all'anno dal 2020] – segnatamente per i paesi in via di sviluppo. La nostra posizione consiste nel dire che bisogna trovare dei meccanismi economici che incoraggiano ed incitano il settore privato.
swissinfo.ch: È quello che avviene in parte già in Svizzera.
D.L.: Sì e funziona piuttosto bene, con la tassa sul CO2 o gli incentivi per la costruzione degli edifici. Bisognerebbe anche concepire dei prodotti bancari che permettano a noi clienti di investire in fondi economici ecologici, piuttosto che nell'oro.
swissinfo.ch: Ritiene che le banche siano pronte ad intraprendere questo passo se la politica invia un messaggio chiaro?
D.L.: Ricevo dei segnali abbastanza positivi dal settore bancario. Esistono già alcuni prodotti di questo tipo. Il settore attende però evidentemente un quadro legislativo credibile a livello internazionale. È quello che oggi manca.
Certi meccanismi non sono credibili, come i 'Clean Development Mechanism' [gli Stati industrializzati pagano per progetti che riducono o evitano delle emissioni nei paesi meno ricchi e sono ricompensati con crediti che possono essere utilizzati per raggiungere i loro obiettivi per le emissioni di CO2]. Bisogna assolutamente rafforzare la credibilità di simili prodotti e stabilire un mercato internazionale.
swissinfo.ch: Nel suo discorso ha insistito anche sul fatto che un accordo sul clima, qualunque esso sia, deve essere legalmente vincolante. Per quale ragione?
D.L.: Le promesse di alcuni dei paesi che emettono le maggiori quantità di gas a effetto serra [tra cui certi paesi emergenti] non bastano. Non è con la speranza che queste promesse saranno mantenute che potremo convincere i cittadini svizzeri a investire e ad accettare restrizioni piuttosto forti sul piano nazionale.
Se si vuole investire e assumersi le responsabilità del passato, per noi questo non è sufficiente. Spero che i nostri negoziatori riusciranno a convincere anche i paesi in via sviluppo che la soluzione di un accordo legalmente vincolante è quella più promettente.
La posizione svizzera
Secondo il mandato negoziale approvato dal governo il 17 novembre scorso, la Svizzera si impegna affinché il riscaldamento climatico sia limitato a un massimo di due gradi Celsius. Questo obiettivo può essere raggiunto se le emissioni di gas ad effetto serra saranno ridotte della metà entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990.
La Svizzera inoltre «persegue l'adozione di un nuovo regime climatico complessivo, che preveda impegni per tutti i paesi industrializzati e per i paesi emergenti più importanti».
La Confederazione si dice disposta anche ad accettare un secondo periodo d'impegno, dal 2013 al 2020, nell'ambito del protocollo di Kyoto. A condizione che i paesi industrializzati non membri del protocollo si assumano un impegno giuridicamente vincolante di riduzione delle loro emissioni di gas ad effetto serra pari a quello assunto dai paesi membri.
I paesi emergenti, dal canto loro, devono anche assumersi un impegno giuridicamente vincolante di riduzione delle emissioni nel quadro della Convenzione sul clima e nel limite delle loro possibilità.
Parlamento permettendo, la Svizzera è disposta a ridurre di almeno il 20% le sue emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. La percentuale potrebbe essere portata al 30 se altri paesi industrializzati fisseranno obiettivi analoghi.
La Svizzera si dice inoltre pronta ad aumentare in modo significativo i fondi accordati ai paesi emergenti per finanziare le misure di riduzione dei gas ad effetto serra e di adattamento ai cambiamenti climatici. Berna sostiene l'obiettivo di portare entro il 2020 a 100 miliardi di dollari questo sostegno finanziario accordato dai paesi industrializzati.
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